Una serie di proteste nel settore dell’energia fossile in Bulgaria aprono il dibattito in un momento in cui il paese si avvia ad una riconversione verso l’energia verde. Quale ruolo giocano i media nella percezione dell’opinione pubblica della questione climatica e nella preparazione del paese al Green Deal?

La Bulgaria, divisa dalle proteste, si trova a un bivio: il settore dell’energia fossile e il Governo sembrano, più che in altre occasioni, ai ferri corti. Il 28 settembre 2023 i minatori e i lavoratori nel settore energetico, con il sostegno dei sindacati, hanno bloccato le principali arterie del paese per manifestare contro i piani di transizione verso l’energia verde.

Il 29 settembre, a un giorno dalla scadenza, il Consiglio dei Ministri ha inviato alla Commissione europea i piani territoriali del Fondo per una transizione giusta, suscitando il malcontento tra i ranghi del settore. I minatori, i lavoratori nel settore energetico e i sindacati hanno redatto una lista di richieste specifiche, invitando il Governo a una discussione. 

L’incontro si è tenuto lo scorso 3 ottobre e si è concluso con la firma di un accordo per avviare negoziati. I media in Bulgaria si sono concentrati sulla questione dei blocchi stradali e sulla domanda “chi ha promesso cosa?”. I titoli si sono focalizzati sulle proteste e sui tentativi di alcune figure politiche di rilievo di “sedarla”. 

I media bulgari non hanno però prodotto un’analisi che spieghi al pubblico la situazione in modo completo. “Ci aspettiamo che la disinformazione sulla transizione verde e il Green Deal dell’Ue continui, in particolare nel contesto delle elezioni comunali, nazionali ed europee che si terranno nel 2023-2024”, commenta Remina Aleksieva, analista per il Programma Energia e Clima al Center for the Study of Democracy (Csd).

Il Green Deal europeo

Nel dicembre 2019 la Commissione europea ha reso pubblico il suo piano d’azione, il Green Deal: si tratta di una   strategia di crescita che punta ad una trasformazione dell’economia dell’Unione europea nell’ottica di un futuro sostenibile: “Aria, acqua e suolo più puliti, aiuti per le spese energetiche per le famiglie, restaurazione delle abitazioni, miglioramento dei trasporti pubblici, un maggior numero di stazioni di ricarica per le automobili elettriche, diminuzione dei rifiuti, cibo più sano e un miglioramento della salute per le generazioni presenti e future”. L’obiettivo di neutralità climatica entro il 2050 mostra che la strada da percorrere è ancora difficile e impegnativa. 

Nonostante ciò, il Green Deal europeo ha ottenuto pochi titoli sui principali media bulgari.

Nel 2021 il Parlamento europeo ha adottato la normativa europea sul clima, che renderà le riduzioni delle emissioni vincolanti a livello legale per tutti gli Stati membri dell’Ue. Inoltre, ha introdotto il pacchetto “Pronti per il 55 per cento”, senza però suscitare particolare attenzione da parte della stampa.

L’energia in Bulgaria, nucleare e carbone

Tra il 1945 e il 1989, sotto il regime comunista, la Bulgaria aveva un’economia a pianificazione centrale. Dopo il 1989, durante il periodo del post-comunismo, gli obiettivi del paese si sono orientati verso la diversificazione dello sviluppo energetico, la riduzione delle dipendenza dalla Russia e l’impegno verso la sostenibilità.

Dopo l’ingresso della Bulgaria nella Nato nel 2004, e nell’Ue nel 2007 – sviluppi economici e politici che hanno avuto un impatto sulla politica energetica – il paese ha intrapreso un percorso verso la riduzione della propria dipendenza dall’energia russa, sostenuto da una politica pro-Ue.

I due grandi progetti energetici del paese sono stati le centrali nucleari di Kozloduj e Belene. 

La centrale di Kozloduj è stata la prima in Bulgaria e nell’Europa sud-orientale. Al tempo dell’adesione del paese all’Ue si sono tenuti dibattiti accesi rispetto alla possibile riapertura delle unità III e IV della centrale, ma questo non è mai avvenuto e il periodo è stato contrassegnato come un fallimento dell’adesione della Bulgaria nell’Ue. Attualmente solo due di sei unità sono operative. 

La mancanza di una copertura mediatica completa e approfondita ha contribuito alla creazione di un’opinione pubblica disinformata.

La storia del progetto della centrale di Belene dura da oltre quarant’anni: ci sono stati diversi tentativi di rinnovamento e una serie di blocchi. Nel luglio 2023 il Parlamento bulgaro ha revocato la decisione precedentemente presa riguardo il completamento della centrale nucleare e ha deciso di negoziare la vendita dell’attrezzatura all’Ucraina. Ancora una volta la copertura mediatica è stata insufficiente per aiutare il pubblico a comprendere la questione. 

Nel 2022, l’energia derivante dal carbone è stata la principale fonte di produzione di elettricità in Bulgaria: rappresentava il 42 per cento della produzione totale di elettricità nel Paese, seguita dall’energia nucleare (33). L’energia idroelettrica, il gas, la bioenergia, il solare e l’eolico hanno rappresentato insieme il 25 per cento. Nei primi cinque mesi del 2023, il carbone è sceso al 35 e poi al 17 a giugno, mentre il nucleare ha raggiunto il 47 per cento. Il solare si è attestato al 12 e l’idroelettrico al 17.

Sfide e impatto verde

La storia del Green Deal in Bulgaria è contrastante. Secondo Martin Vladimirov, direttore del programma energia e clima della CSD, citato sopra, il Paese ha circa 43mila persone che dipendono direttamente o indirettamente dall’industria del carbone. Se da un lato il Green Deal offre l’opportunità di modernizzare l’industria, le infrastrutture e la produzione di energia, dall’altro una delle sfide più grandi resta la mancanza di trasparenza sulle conseguenze per la popolazione di uno dei Paesi più poveri dell’Ue. L’errata percezione del Green Deal è particolarmente acuta nelle tre regioni carbonifere più interessate dalle modifiche ai piani di Just Transition: Stara Zagora, che si prevede riceverà la maggiore iniezione finanziaria, Pernik e Kjustendil.

“Non c’è stata una campagna sistematica e chiara da parte del governo per spiegare lo scopo, gli aspetti centrali, i risultati attesi e i cambiamenti del Green Deal, soprattutto nelle regioni carbonifere”, afferma Apostol Dyankov, responsabile del programma Clima ed Energia del WWF Bulgaria.

“Lo abbiamo raccomandato negli ultimi due anni, perché purtroppo la Bulgaria è l’obiettivo di una campagna generale di disinformazione che ha per oggetto il Green Deal come parte di una più ampia operazione di comunicazione volta a screditare l’adesione della Bulgaria all’Ue”, aggiunge.

L’opinione pubblica bulgara tende a credere che l'”agenda verde sia un’imposizione di Bruxelles”, un modo per affermare il controllo europeo sul paese. Secondo l’European Council on Foreign Relations (ECFR), la Bulgaria, classificata come “Stato membro meno ambizioso“, non ha la capacità istituzionale e la volontà politica di attuare la “transizione verde”.

La Bulgaria rimane uno dei Paesi più vulnerabili dell’Ue all’influenza straniera, compresa la disinformazione dei media: “Un precedente monitoraggio [da parte del Csd] nel 2021 ha mostrato che la maggior parte della disinformazione relativa al Green Deal è stata prodotta e diffusa dai media bulgari e da entità politiche ed economiche note per amplificare sistematicamente l’influenza del Cremlino”, afferma Aleksieva del CSD.

Uno degli argomenti più forti a favore dell’uso del carbone e dei combustibili fossili è la mancanza di tecnologie e investimenti nelle energie rinnovabili.

“Questo non è vero per le tecnologie, ma è vero per gli investimenti. Il settore è così stagnante a causa di leggi e restrizioni aggressive contro le fonti rinnovabili, della mancanza di chiarezza nelle licenze e della resistenza locale. Il settore viene persino dipinto come appartenente agli oligarchi e alla mafia. I bulgari sono sospettosi nei confronti delle energie rinnovabili. Sono molto più propensi a sostenere le soluzioni fossili, nonostante l’impatto sul clima e la mancanza di fattibilità economica”, afferma Dyankov.

L’onnipotente industria del carbone

Secondo Lyubomir Spasov, direttore della centrale elettrica a carbone di Bobov Dol, quasi 1000 posti di lavoro sono a rischio. Se il mercato e la logica economica impongono di ridurre la produzione perché ci sono nuove tecnologie alternative, prima o poi l’impianto cesserà di funzionare. Uno scenario che, stranamente, sembra stia per realizzarsi, visto lo sviluppo delle tecnologie solari e il prezzo dell’energia da carbone in tutta Europa. Ciò che non può accadere, secondo Spasov, è che l’industria del carbone venga bloccata per decreto amministrativo.

“Tutte le trasformazioni dovrebbero essere evolutive, non rivoluzionarie. Stiamo lottando per fare il prossimo salto e siamo guidati da persone che forse non sanno di cosa stanno parlando”, afferma Spasov. “Ci stanno dicendo ‘queste sono le nostre condizioni, accettatele’. Questo non è dialogo”.

L’ingolfo creato dalla mancanza di discussione pubblica sul Green Deal ha inevitabilmente portato alla recenti proteste, costringendo il governo ad agire a causa delle scadenze. Ma il margine di manovra del governo è limitato. La Bulgaria ha già perso 100 milioni di euro nell’ambito del JTF nel 2022. Se i piani territoriali per la transizione verde non fossero stati presentati entro il 30 settembre, il paese avrebbe potuto perdere altri 3,5 miliardi di euro. 

Se la Bulgaria non rispetterà gli impegni assunti nell’ambito del Piano di ripresa e resilienza, potrebbe perdere circa 17 miliardi di euro. Uno di questi impegni consiste nel ridurre le emissioni di carbonio del 40 per cento entro il 2026.

Un’agenda mediatica verde debole

Il persistere di un’agenda mediatica verde debole è messa alla prova da cinque elezioni parlamentari consecutive in soli due anni in Bulgaria. L’instabilità politica e la radicalizzazione dopo i risultati delle ultime elezioni parlamentari (aprile 2023) e delle elezioni locali dell’ottobre 2023 sono diventate le sfide più immediate del Paese.

La scelta delle parole da parte dei media bulgari sul tema della transizione verde e del suo impatto non sono certo neutre e plasmano la percezione del Green Deal da parte del pubblico. Alcuni esempi di titoli “Imminente rivolta contro gli obiettivi climatici irrealistici dell’U” o “Il Green Deal è la causa dell’inflazione“.

Il tema principale utilizzato per contestare le politiche verdi dell’Ue in Bulgaria è il potenziale impatto della chiusura dell’industria del carbone. 

La lobby pro-carbone sostiene che un’industria carbonifera funzionante è un fattore indispensabile non solo per l’indipendenza energetica, ma anche per mantenere la sovranità dello Stato e la sicurezza nazionale. Nel 2021, oltre il 70 per cento dei bulgari sapeva poco del Green Deal e ancora meno della posizione ufficiale del Paese sull’obiettivo di neutralità delle emissioni di carbonio dell’Ue, ma non gli piaceva, e questo era quanto.

Nel giugno 2022, è stato pubblicato un altro sondaggio che mostrava che il 62 per cento della popolazione bulgara pensava che il cambiamento climatico fosse una minaccia reale, ma che l’83 per cento non sapeva dove venissero spesi i soldi del pacchetto di sostegno della Bulgaria. La situazione è simile nel 2023.

“Data la vulnerabilità della Bulgaria alla disinformazione, e il basso livello di alfabetizzazione mediatica nel paese, il rafforzamento dell’influenza del Cremlino sui media e sulle istituzioni politiche ed economiche bulgare rappresenta un notevole ostacolo per la capacità della Bulgaria di rispettare gli impegni assunti nell’ambito del Green Deal dell’Ue”, afferma Aleksieva.

Oltre alla disinformazione del Cremlino e alla scarsa alfabetizzazione mediatica, questa situazione è anche il risultato di pressioni politiche sull’indipendenza editoriale. La Bulgaria non dispone di un quadro giuridico ben funzionante che regoli la proprietà dei media e fornisca garanzie contro le interferenze politiche. 

Nel giugno 2023, secondo i dati dell’Open Society Institute di Sofia, la Bulgaria è scesa di due posizioni nella classifica annuale dell’Indice europeo di alfabetizzazione mediatica, passando dal 33° posto del 2022 al 35° del 2023, su 41 paesi.

Le elezioni parlamentari dell’aprile 2023 hanno visto l’ascesa del nuovo partito nazionalista bulgaro e filo-Cremlino Vazrazhdane (Rinascita). In due anni ha quintuplicato i suoi voti (dal 2,45 per cento del 2021 al 14,16 del 2023, con un’affluenza alle urne del 40,69 per cento).

L’ascesa di questi politici e partiti, e le polemiche che li circondano – come la loro condanna del certificato verde COVID-19, con solo un terzo dell’intero gruppo parlamentare vaccinato – ha avuto un impatto sull’opinione pubblica riguardo al Green Deal. Nel 2022, Kostadinov lo ha definito “la morte per l’economia bulgara”.

Il futuro

Secondo Dyankov del WWF, l’opinione pubblica sta iniziando a vedere oltre la radicalizzazione.

“I manifestanti possono essere forti nel breve periodo, ma continueranno a perdere consensi. Se ci troviamo nello sfortunato scenario in cui perdiamo i fondi del JTF e i piani non vengono adottati, credo che le regioni carbonifere ne risentiranno. Perderanno sia il denaro che il sostegno pubblico. Stanno giocando un gioco molto pericoloso”.

Gli eventi di oggi seguono un lungo periodo in cui i politici hanno rifiutato di assumersi la responsabilità di impegni che la Bulgaria non può ignorare.

“Negli ultimi mesi il dibattito si è normalizzato. Sì, ci sono voci forti, ma le argomentazioni per la determinazione dei prezzi della produzione energetica ci sono e le persone cominciano a cercare informazioni sull’argomento. Consiglierei di iniziare dai siti web europei. Ci sono pubblicazioni decenti in bulgaro, ma si tratta di casi isolati. Non ho visto pubblicazioni sistematiche e trasparenza delle informazioni”, afferma Boris Gurov, consulente politico del Parlamento europeo, professore presso l’Istituto di ricerca economica dell’Accademia bulgara delle scienze e professore di scienze politiche presso l’Università americana in Bulgaria.

Secondo Gurov, la situazione delle centrali elettriche in Polonia è simile, e l’impatto dell’industria del carbone è stato significativo. La differenza tra Bulgaria e Polonia è la corretta strategia di comunicazione adottata in quest’ultima, che ha fornito una panoramica comprensibile e trasparente dell’intero processo. Tuttavia, la Bulgaria ha dimostrato che esiste una chiara maggioranza pro-Ue nella popolazione. Aleksieva ritiene che questo dovrebbe essere sufficiente per avviare il Paese su un percorso di innovazione verde.

“Tuttavia, ci si possono aspettare altri intoppi lungo il percorso e il viaggio della Bulgaria verso la transizione verde non deve essere dato per scontato. In particolare, la Bulgaria sarà tra i paesi che pagheranno un prezzo sociale elevato in termini di perdita di posti di lavoro e di reddito in alcune aree del Paese, e sarà necessario mettere in atto rapidamente adeguate strategie di mitigazione per proteggere le comunità vulnerabili”, aggiunge.